Alle 18,00 lo zerbino posto all’ingresso comincia ad essere calpestato dai primi arrivi.
Sui volti delle persone, curiosità e un pizzico di diffidenza.
L’iniziativa aveva suscitato discussioni animate nei giorni precedenti e lo stesso don Giampiero Arabia aveva dovuto chiarire, almeno da un punto di vista normativo, sulla dispensazione del sacramento in un luogo profano.
Le persone cominciano a gremire il pianerottolo. Nel frattempo, diffusa da due fonti non sincronizzate, la melodia per voce e pianoforte evoca atmosfere pre-cristiane, quasi da catacomba, rese ancora più vivide dal brusio dei visitatori e dalla debolezza dell’illuminazione .
Sono ormai le 18.40, il sacerdote tarda ad arrivare. Gianfranco D’Alonzo decide comunque di iniziare, secondo le consuetudini della Lift Gallery, ad agire sull’ascensore e a metterne in atto, pubblicamente, la trasfigurazione. Sul pianale viene collocato uno zerbino e al suo centro viene posta la scultura. Provvidenzialmente, accolto da un applauso liberatorio, arriva anche don Giampiero e l’ascensore diventa a pieno titolo confessionale. Il primo a salire insieme a don Giampiero è Michele Marinaccio. Molti si avviano, come in processione, per le scale, passano di fronte alle fotografie affisse ai pianerottoli e si fermano ai tavoli imbanditi. Ma c’è chi entra nella Lift Gallery, chiude le porte alle spalle, si rivolge al sacerdote e, mentre salgono, si fa confessare.
Si giunge infine al quinto piano dove, oltre ai due zerbini che riproducono in dimensioni ridotte il motivo del primo, si trovano i piatti di legumi, preparati dallo stesso D’Alonzo, ed il vino. Luogo ideale, tra il sacro e il profano, per intavolare discussioni, porre obiezioni, domande
Lettera a Pino Rosati, direttore della Lift Gallery
Roma, sabato 18 ottobre 200 Caro Pino, ti invio alcune riflessioni che spero possano esserti d’aiuto nello scrivere il comunicato stampa. Ho preferito riferirti di pensieri che saranno solo accennati nel mio testo ma che possono darti un’idea del mio percorso mentale, o delle cose che mi piacciono o che non mi piacciono. L’idea che guida questo allestimento è il tentativo di trasferire la poetica del mio lavoro pittorico, formalmente vincolato alla superficie, in uno spazio fisicamente complesso ( e con molti ostacoli) che richiede altre modalità per essere ridefinito. In sostanza, immagina che io abbia utilizzato scale, androne, ascensore e pianerottoli come se insieme ricreassero la superficie della tela. Vorrei aderire ad un concetto di astrazione metafisica: si potrebbe anche parlare di una “metafisica iconoclasta” , visto che non amo molto il significato riduttivo che nella storia il termine astrazione ha acquisito. Di questa tradizione astratta, legata alla spazialità, alla composizione, o alla cromatismo non ho mai subito il fascino. Anche il mio colore è sempre un colore mentale, che ha a che fare con chi lo indossa insomma. Inoltre, il termine iconoclasta mi mette al pari di chi, sotto l’egida della cultura della comunicazione, non fa altro che censurare quella parte di realtà che non gli piace. Quando lavoravo sulle griglie che creavano una superficie monocromatica era importante ridefinire uno spazio in cui doveva collocarsi un significato ( ricreare il mistero, un luogo che non si vede e che va protetto). Evidentemente non concepisco l’idea senza il suo spazio dove poter vivere. Per questo motivo, ricreare uno spazio segreto, un percorso spirituale – come la verticalità dell’ascensore propone – ha dato luogo al confessionale. Inoltre, ricreare il segreto e proteggerlo mi mette al pari di chi sull’omertà e sull’occultamento della storia fonda il proprio potere. Come vedi, pretendo di descrivere la realtà, paradossalmente, ripercorrendone i sentieri e non rappresentandola. Nessuna denuncia e nessuna provocazione. C’è da dire che sono mesi che sto rielaborando le forme del riallestimento del pensiero, ed è riemersa la memoria in modo prorompente. Il confessionale, da bambino chierichetto, era lo spazio magico che raccoglieva tutti i segreti delle persone del mio piccolissimo paese. Diciamo che preferisco che il segreto sia confessato ma non svelato: ha valore il valore e non il suo effetto: ha valore il linguaggio e non il soggetto. Questa si è l’astrazione che mi piace! In questo caso lo spazio quotidiano ha esaltato l’influenza che il “domestico” ha su di me. Ho portato brani del mio privato, mai successo prima, perché questo, ne sono sicuro, aiuterà a cambiare il mio lavoro. Che resterà un lavoro di pittura penso. Anche se continuare a fare zerbini non mi dispiacerebbe! Infine, se vogliamo riscontrare un tema – formale e concettuale, dietro tutta questa storia ( ne abbiamo già parlato), questo tema è la croce. Perché più si guarda all’ origine e più si migliora. Opere in esposizione: uno zerbino, con la scritta in catalano “Jo em confesso”, posto all’ingresso principale del palazzo; altri due zerbini collocati davanti ai due ingressi privati dell’ultimo piano; una scultura in marmo alabastro, verniciata di rosso, collocata su uno zerbino sagomato sul pavimento dell’ascensore; foto dell’artista durante una pausa di una riunione di condominio a S. Bibiana in Roma. – Il musicista, Gianluca Pezzino, ha composto una “melodia vocale” ispirata alla musica barocca. – Un sacerdote confesserà all’ interno dell’ascensore chiunque lo richiederà. – Il cibo: lenticchie, ceci e fagioli, con pane azzimo, cucinati dall’ artista. Gianfranco