ALONE

di Emma Ercoli


Alone è un titolo enigmatico, un dato di partenza che sollecita l'immaginario di chi sta per fare esperienza di uno spazio dalla tessitura densa e complessa. Il termine Alone, infatti, può essere letto nella duplice accezione dell'aggettivo inglese e del sostantivo italiano. Nel primo caso il termine inglese alone composto da al(l) + one, introduce immediatamente al tema dell'Uno che sottende l'intera opera di Gianfranco D'Alonzo. Nella lingua italiana il sostantivo alone può indicare una zona sfumata di chiarore più o meno intenso intorno a una sorgente di luce, un'impronta, una traccia, ciò che resta di qualcosa che non c'è più, o un bordo dorato che circonda il capo dei santi nell'iconografia tradizionale. In questo senso introduce il tema del Nimbo, altro motivo chiave che tesse la trama "luminosa" di tutto il lavoro.
Il pavimento della galleria è completamente coperto da un tappeto bianco che richiama i tappeti/zerbino leit-motif delle precedenti opere di D'Alonzo, a partire da Jo em confesso. Al centro del tappeto, sotto forma di rettangolo nero, è leggibile il numero 1 (uno) del font tipografico chiamato "bauhaus".
Come era chiaro alla filosofia-mistica antica, scrive Marco Vannini, dal Parmenide di Platone, alle Enneadi di Plotino, l'Uno è innanzitutto il principio della comprensibilità stessa del reale, anche nella sua molteplicità, che non sussisterebbe senza l'Uno da cui ogni numero deriva e a cui rimanda. (...) Da Plotino ad Eckhart l'insegnamento della mistica è semplice e sempre identico ed è il distacco. E' con esso ed in esso che si comprende il pensiero dell' Uno, che è Dio ed il distacco stesso.1
L' "ontologia" plotiniana del nulla, portata alle sue estreme conseguenze da Meister Eckhart, in particolare nei Sermoni Tedeschi, affascina l'artista, che in Alone segue un progressivo processo di svuotamento. Come scrive Plotino nelle Enneadi infatti, dell'Uno non si può predicare se non il "nulla" e anzi si deve dire che è come nulla e di nulla ha bisogno.
Su una delle pareti della galleria si intravede l'alone lasciato da un quadro che è stato staccato e appoggiato sul pavimento. La sfumatura lattiginosa dai contorni grigio polvere sembra indicare che cosa resta di una realtà percepita sub specie picturae. L'artista, che da sempre indaga sul potenziale linguistico e sociale della pittura, arriva adesso a una rigorosa opera di scavo sulle possibilità del processo artistico evidenziando una profonda esigenza di azzeramento. L'opera, di forma quadrata, è una "pittura" degli anni Novanta realizzata in cera calda su tela di lino e presenta un insieme di fitti reticoli, di griglie realizzate come trame a rilievo. E' un lavoro struggente, che rivela il desiderio di custodire, di prendersi cura e proteggere qualcosa di molto amato e fragile, ma apre anche il cammino verso un progressivo distacco, che vede come punto di approdo una dimensione di contemplazione e di silenzio. L'artista non a caso cita Tertulliano, primo Padre della chiesa latina, che contrappone visivo e visibile e assegna il pittore alla vocazione suprematista di rinunciare al signum figurativo e alla descrizione, al fine di purificare la sua arte nel tracciato di una scacchiera o nel cromatismo informe di un lembo di colori variegati.2
Alone richiama non solo le riflessioni dei primi teologi dell'Occidente come Tertulliano, ma anche la solitudine estrema degli anacoreti del cristianesimo bizantino.
Un nimbo sospeso a tre metri di altezza al centro della galleria, realizzato in metallo dorato anch'esso di forma quadrata, domina l'intero ambiente con il suo silenzio, evocando alcune figure enigmatiche della chiesa orientale, Dionigi in particolare, laddove parla della preghiera usando l'immagine della "catena di luce". L'opera riconduce all'alone luminoso di quei primi asceti, che nella santa esichia del corpo e dell'anima hanno cercato la preghiera assoluta, il dialogo confidenziale dell'uomo con Dio.3
Il tema dell'alone tocca il suo diapason nella nota dominante del lavoro installato in alto sulla parete opposta. Si tratta di una carta intelata che richiama sia la forma del quadrato che del cerchio e da cui emana una fortissima luce. Un'opera che sembra fuoriuscire dai propri stessi confini, quasi un'apparizione, che acceca e conduce a un'improvvisa percezione del visibile. Siamo di nuovo a Tertulliano, ma anche a San Paolo che nihil videbat. La luce intensa che proviene dalla "carta" è speculare al chiarore, generato sulla parete di fronte, dal quadro che è stato tolto lasciando un vuoto. Il vuoto qui rimanda a un tema centrale in tutta la mistica, non solo quella cristiana, che a partire dai Padri greci, cappadoci e alessandrini ha attribuito a questo termine un significato positivo. Vuoto quindi inteso non come assenza ma nel suo carattere liberante, di suprema pienezza. Alone è un'opera pervasa da una spiritualità lucida, profonda, e come tutti i lavori di D'Alonzo si nutre di un divenire costante, che acquista densità attraverso una sovrapposizione di strati che sfuggono all'ordine a priori del progetto.4 Anche l'attuale lavoro infatti si presenta non come strategia chiusa, ma come meccanismo complesso che sottolinea il primato della processualità.
Il tema del quadrato ritorna in un'animazione che D'Alonzo riprende da Wikipedia e proietta in una stanza adiacente allo spazio centrale della galleria. Qui l'artista rivisita il rapporto tra quadrato e cerchio, ripercorre le divisioni dello spazio interno del quadrato, partendo dalle principali combinazioni tra linee curve derivate dalle sue stesse misure.
In un libro del 1960 Bruno Munari infatti osserva quanto sia enigmatico il quadrato nella sua semplicità, nella monotona ripetizione dei quattro lati e dei quattro angoli uguali, e ci ricorda l'antico detto cinese "l'infinito è un quadrato senza angoli".5
In un processo di acuta analisi critica di codici ideologici, categorie e postulati, legati ai miti fondativi del pantheon della modernità, l'artista procede come un funambolo sul filo teso dell'oltrepassamento, oscillando tra una constatazione di scacco e un nuovo fiducioso tentativo di ricerca.
Opera d'arte in progress, Alone è pronta a frantumarsi e a fluttuare in una continua metamorfosi, entrando, a fine mostra, nella terra senza terra della Rete, scongiurando la sparizione dell'arte attraverso l'arte della sparizione.6 E' così che la "pittura" di cera sciolta, tolta dalla parete e appoggiata sul pavimento, può infine spogliarsi anche del suo alone luminoso e abbandonare le sue preziose tracce, senza mai perderle completamente.
Nella trama dell'opera rimane centrale la figura di Benjamin con la sua nozione di declino dell'aura. Un'aura che l'arte contemporanea riacquista con l'esposizione e la Rete. Come sostengono A. Balzola e P. Rosa infatti, l'attivazione di una dimensione "rituale" partecipativa restituisce all'arte quella dimensione auratica che Benjamin considerava perduta proprio con l'avvento della tecnologia riproduttiva. Almeno su questo punto appare superata l'interpretazione che egli dà del rapporto tra arte e tecnologia, la tecnologia interattiva infatti produce eventi auratici e la tecnologia digitale non è tanto riproduttiva quanto generativa... 7
Nella sua meditazione D'Alonzo sovrappone più strati, tiene insieme molteplici livelli, mette in cortocircuito diversi punti focali. Procedendo lungo un bordo sfumato tra il dentro e il fuori, o sostando sul confine, introduce uno sguardo contemplativo che non è in conflitto con il mondo.





1 M.Vannini, "Lessico Mistico", Le Lettere, Firenze 2013, pp. 210 e 214
2 G.Didi Huberman, "L'immagine aperta: motivi dell'incarnazione nelle arti visive", B.Mondadori, Milano 2008, p.70
3 H. Ball, "Cristianesimo Bizantino", Adelphi, Milano 2015, p. 61
4 F. Carmagnola, "Parentesi perdute", Guerini e Associati, Milano 1998, p. 69
5 B. Munari, "Il Quadrato", M. Corraini, Mantova 2014, p. 5
6 A. Balzola, P. Rosa, "L'arte fuori di sé", Feltrinelli, Milano 2011, p. 70
7 Ibidem, p. 98