PLOZAT migrazioni di land of prayer
Gianfranco D'Alonzo
Modalità di adozione a distanza di Land of Prayer
Emma Ercoli
LOP: verso una sensibilità etica
Franco Speroni
Land of prayer: una T.A.Z. (quasi), senza saperlo
Gianfranco D’Alonzo
Modalità di adozione a distanza di Land of Prayer
Land of Prayer,
che in seguito chiamerò LOP, è la condizione abitativa di un migrante naufragato sulle coste marginali della Rete, territorio affollato di messaggistica e specchi riflettenti corpi e anime, ma anche rifugio.
abitare (peregrinazioni locali)
i miei genitori e i loro tre figli sono nati in 5 paesi diversi sono vissuto in 9 case di 3 paesi diversi in abruzzo in 10 case diverse a roma in 7 case e città italiane diverse coincidenti con il lavoro.
LOP ha creato un angolo povero, un vicolo cieco della rete [Susca] nel quale riconsiderare una vita sulla scia di un paradosso: sovraesposizione e riservatezza.
LOP sembra essere un’esperienza che delle regole della rete ha quasi nulla o che di queste molte sono reinventate, dove l’autore ha ben poco da dire ma molto da fare, negando incessantemente il proprio ruolo presunto.
autore disabitato
la prima esperienza , per quanto io non voglia, è sempre qualcosa di inatteso se non fosse così non avrei motivo di vivere l’attesa: mai passiva,sequenza di negazioni di cose che sappiamo non dovere fare , o dire, che fa di ci che resta la cosa giusta, perchè…
Avviso ai naviganti
Per varcare la soglia di LOP mi collego al sito web https://www.gianfrancodalonzo.net/land-of-prayer/ e aspetto il caricamento della Pagina di Archivio con Sonoro [condizione cimiteriale di LOP]. Nella parte bassa, a destra dello schermo, clicco su ENTRA o ENTER, secondo il percorso linguistico che voglio seguire, italiano o inglese, e accedo alla home page dell’Opera https://www.gianfrancodalonzo.net/land-of-prayer/index-lop.html . (Sì! Tutto molto scuro). Cliccando sulla scritta LAND OF PRAYER , che si fa notare al centro del campo visivo per un bagliore che ritmicamente ne sottolinea la presenza, visualizzo innanzitutto l’Animazione Digitale, cioè l’origine che ha animato l’opera – la chiamano anima perchè anima i corpi (M. Eckhart), https://www.gianfrancodalonzo.net/land-of-prayer/enter.html . Al termine, torno alla homepage dove, in basso a sinistra, da CONTENUTI accedo ad una pagina di regia che ha raccolto gli sviluppi dell’opera nel tempo in cui ha agito in Rete https://www.gianfrancodalonzo.net/land-of-prayer/about_us.html.
La mia presentazione https://www.gianfrancodalonzo.net/land-of-prayer/land_of_prayer.html:
…esistere è la mia preghiera, come esisto è come prego.
Maurizio Maggiani, Il viaggiatore notturno.
“Campo di Preghiera” è il secondo elemento di un trittico immaginario: Confessione, Preghiera, Pianto. In cerca di un ambiente, chiamiamolo pure qualunque, come quelli tipicamente quotidiani, pubblici o privati, naturalmente votati all’accoglienza e alla trasfigurazione, ho pensato la rete e il suo contenitore come a un tutt’uno casalingo, ambiente virtuale che muta in domestico. Lo schermo: campo di riferimento, retablo, rosario, tappeto visivo, icona a uso dello spazio privato. Ipotesi infinita che agisce in realtà determinate, finite, irrevocabili. La ricerca continua………………….
Informazioni utili alla navigazione e alla comprensione dell’opera, ossia i contributi di: Carlo Nannicola, artista web che ha realizzato il sito contribuendo a molte delle scelte e delle soluzioni tecniche e formali; Gianluca Pezzino, musicista e performer che ha realizzato Cembalo, il testo sonoro dell’animazione digitale; Igino Schraffl, che ha tradotto in inglese i testi pubblicati mensilmente. Dal bottone LINK, in basso a sinistra, si apre una pagina che riunisce le attività di LOP, on-off line, durante la sua azione in rete https://www.gianfrancodalonzo.net/land-of-prayer/link.html,tra cui Jo em confesso https://www.gianfrancodalonzo.net/land-of-prayer/jo_em_confesso.html.
Roma, sabato 18 ottobre 2003
Caro Pino,
queste sono alcune riflessioni che spero possano esserti d’aiuto nello scrivere il comunicato stampa. Ho preferito riferirti di pensieri che saranno solo accennati nel testo ma che possono darti un’idea del mio percorso mentale, o delle cose che mi piacciono o che non mi piacciono.
L’idea che guida l’allestimento è il tentativo di trasferire il mio lavoro, prevalentemente pittorico e formalmente vincolato alla superficie, in uno spazio fisicamente più complesso (e con molti ostacoli) che richiede altre modalità , tecniche e formali, per essere ridefinito. Immagina che abbia utilizzato scale, androne, ascensore e pianerottoli per ricomporre l’universo della superficie (anche se di quest’universo ne stiamo cogliendo la punteggiatura più che il discorso intero). Vorrei aderire a un concetto di astrazione metafisica: si potrebbe anche parlare di una metafisica iconoclasta, visto che non amo molto il significato riduttivo che nella storia dell’arte il termine “astrazione” ha acquisito: di questa tradizione astratta, anestetizzata e compiacente, anche se troppo spesso spacciata per impegnata, non ho mai subito il fascino. Anche il mio colore è sempre più un colore mentale, che ha a che fare con chi lo indossa o dove lo “spalmi”. Inoltre, il termine iconoclasta mi mette al pari di chi, sotto l’egida della cultura della comunicazione, non fa altro che censurare quella parte di realtà che non gli piace (a proposito di iconoclastia). Quando lavoravo le “griglie”, realizzando superfici monocromatiche, era importante concepire lo spazio in cui doveva collocarsi un significato (ricreare il mistero, un luogo invisibile e perciò da proteggere). Evidentemente non concepisco l’idea senza il suo spazio, dove poter vivere. Per questo motivo, ridisegnare lo spazio segreto e un percorso spirituale – come la verticalità dell’ascensore propone – ha dato luogo al confessionale. Inoltre, ristabilire un segreto e proteggerlo mi mette al pari di chi sull’omertà e sull’occultamento della storia (dell’arte) fonda il proprio potere. Come vedi, paradossalmente, pretendo di descrivere la realtà ripercorrendone i sentieri e non rappresentandola: nessuna denuncia e nessuna provocazione. Sono mesi che sto rielaborando le mie forme dell’allestimento del pensiero, e riaffiora la memoria in modo prorompente: il confessionale, ad esempio, da bambino chierichetto, era lo spazio magico che raccoglieva tutti i segreti delle persone del mio piccolissimo paese. Diciamo che preferisco che il segreto sia confessato ma non svelato: ha valore il valore e non il suo effetto: ha valore il linguaggio e non il soggetto. Questa è l’astrazione che mi piace!
In questo caso lo spazio quotidiano ha esaltato gli effetti provocati dall’influenza che il “domestico” ha su di me. Ho portato brani del mio privato, mai successo prima, perchè questo, ne sono sicuro, aiuterà a cambiare il mio lavoro. Che resterà un lavoro di pittura, penso. Anche se, continuare a fare zerbini non mi dispiacerebbe!
Infine, se vogliamo riscontrare un tema, formale e concettuale, dietro tutta questa storia (ne abbiamo già parlato), questo tema è la croce. Perchè più si guarda all’origine e più si migliora.
…e altri zerbini sono stati fatti
Dal web in poi LOP ha tratteggiato un disegno dell’accoglienza di pensieri e di linguaggi. Arredi paritari che hanno in seguito concepito le molteplici condizioni abitative e insieme piattaforme di condivisione nelle quali lo zerbino ha sempre rimodulato gli accessi, le presenze, i respiri.
Commenti
Una mia studentessa, visto LOP nei suoi primi momenti in rete, disse prof. ma questa è una TAZ!? Stupore! (Ero appena arrivato e non ne sapevo nulla). Luisa dice che è andata oltre, che la fluidità della rete la distingue, anche se il suo successivo soggiornare nella galleria e nel libro ne conserva la memoria utopica e l’immanenza spirituale. LOP non ha – non è un‘immagine, nè vuole o riesce ad acquisirla. Si fa opera fuori cornice, ricavandosi un percorso di cornice.
LOP è dentro e fuori
…perchè tante forme non la trasformino ma rafforzino la propria presenza e personalità proprio schivando di continuo una possibile definizione: non c’è punto di fuga, non c’è gerarchia di segni. LOP è dentro e fuori (questo corsivo devo averlo sentito da Speroni).
Galleria (o Tunnel)
Nella galleria, https://www.gianfrancodalonzo.net/land-of-prayer-alias/ [ Land of Prayer Alias, 12 settembre 25 ottobre 2013, Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande, Roma, a cura di Emma Ercoli, commento in catalogo di Franco Speroni ] LOP si è armata di tutte le categorie della mostra, calandosi in rituali e consuetudini prestabilite, segnalando però uno scarto della visione, dichiarando il suo status temporaneo di segmento di un percorso, di una durata dentro una durata più ampia, materialmente deformata da una conversazione con Marco Vannini [Nientificazione: la luce del nulla, 5 ottobre 2013, Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande, Roma ] che si è prestato a diventarne parte integrante come pensiero in atto e azione fisica https://www.gianfrancodalonzo.net/marco-vannini-nientificazione-la-luce-del-nulla/.
La mostra, infine, è diventata un evento diluito ma non indebolito dal tempo . Ha sterzato per aprire nuove traiettorie – immaginate, previste, auspicate – ma senza binari già fissati. Soprattutto, senza dettato.
Stone book
Il libro… – si penserebbe fosse il momento in cui tutto si dispiega, rimesso in bella copia. E invece no! E’ la cosa più chiusa , più granitica delle tre piattaforme. E‘ come tornare al libro di pietra (Abruzzese) http://www.gianfrancodalonzo.net/lop-rete-mostra-libro-presentazione/ – … non si identifica nè con il testo, nè con la forma, nè con l’oggetto, tantomeno con il suo racconto: è insieme sosta e durata.
LOP – Rete mostra libro. Quando l’arte ripensa le piattaforme della comunicazione, a cura di Franco Speroni, Gangemi Editore.
La Rete, la Mostra nella galleria d’arte e il Libro sono gli elementi di un trittico ideale che compongono la piattaforma LOP . Un progetto di Gianfranco D’Alonzo che mette a fuoco un modo di essere dell’arte contemporanea quando questa si fa dispositivo per creare relazione tra vari territori che siamo soliti abitare: Internet, poi la città dove la mostra d’arte sempre emblematica delle sue origini spettacolari metropolitane, e infine il libro in quanto scrittura, cioè distanza e ripensamento dell’esperienza ma senza soluzione di continuità con i territori precedenti. La Land che questa piattaforma attiva pensata come un luogo neutro per la Preghiera, dove la Preghiera non formula e rappresentazione di una religione che chiude e divide ma territorio aperto, esperienza assai prossima ai modi di fare mondo propri dell’arte contemporanea.
Infine
Dispiegandosi LOP ribadisce, senza declamare, il politico nella scelta: inazione e interferenza: non c’è più tempo per stare a parlare di tutto, di qualsiasi cosa, bisogna parlare di quello che davvero conta. Cioè della religione. Che da divina si è fatta società (Abruzzese) https://www.gianfrancodalonzo.net/lop-rete-mostra-libro-presentazione/. Evidenziare le contraddizioni accumulate nelle pieghe della relazionalità ?
Ma cosa sarà LOP a Exploit non lo sappiamo. Adesso, sappiamo solo cos’è qui! Parte di una scialuppa di salvataggio che cattura vento sfogliandosi.
Emma Ercoli
LOP: verso una sensibilità etica
Nel clima di sfiducia che pesa sulla condizione umana soprattutto in questo periodo storico, EXPLOIT e il Museo dell’Altro e dell’ Altrove sembrano sorgere come oasi di riconciliazione, come dimensioni di accoglienza e di scambio che incoraggiano a introdurre energie nuove nel sistema.
Energie che vanno nella direzione opposta al consumo delle opere, dei corpi, dei sentimenti, volte piuttosto a riconoscere la creatività , a custodirla e a proteggerla.
Siamo sempre più schiavi delle nostre abitudini mentali, che ci spingono a identificarci con la paura, a dare il primato alla compulsività , ossessionati dall’idea che bisogna fare a ritmi accelerati qualcosa, alla continua ricerca di rassicurazioni, nel timore dei cambiamenti, del contatto con il nuovo, lo sconosciuto, il diverso.
Giorgio De Finis invita a creare territori di libertà , ad abitare spazi di libertà e di immaginazione, di incontro, di scambio e di relazione.
Territori in cui può veramente svilupparsi una nuova sensibilità etica, nella coltivazione di una volontà non appropriativa e di un’attitudine al riconoscimento dell’altro. Luoghi in cui i pensieri non sono afferrati da un pensatore che li giudica (M.Epstein) e in cui è possibile sperimentare alternative a una lettura delle cose fatta soltanto attraverso il filtro dell’ideologia. Laboratori orientati alla condivisione, attraverso un rapporto aperto con lo spettatore che è anche coproduttore , sempre protagonista, perchè invitato a prender posto in un dispositivo, a farlo vivere, a completare il lavoro e a partecipare all’elaborazione del suo senso (N. Bourriaud).
Land of Prayer ha un processo di trasformazioni multiple, in ambienti distinti ma connessi tra loro senza soluzione di continuità . E’ un dispositivo complesso che mette in relazione spazi diversi attraversati in modo fluido senza seguire una direzione univoca o una meta prefissata, rivelando l’intenzione di fondo di “ricominciare sempre”. Come la pratica meditativa o la preghiera di quiete LOP si nutre infatti dell’esperienza dell’andare oltre, dell’oltrepassare per entrare di più. Oltre l’involucro del pensiero ripetitivo, del concetto che si solidifica fino a creare una barriera che restringe l’intero campo visivo. LOP genera una dinamica di apertura , di trascendimento, che coincide con un progressivo lasciar cadere la trama dell’egocentratezza. Rompe le griglie stabilite dalla consuetudine, supera le convenzioni e gli automatismi della pratica artistica, in una continua reinvenzione del medium.
Aprire -scrive G. Didi-Huberman- equivale a svelare. E’ l’atto di scostare ciò che fino a quel momento impediva di vedere -porta o tenda- e di disporre, presentare la cosa ormai “aperta” in un rapporto spaziale che mette in comunicazione un interno e un esterno, lo spazio ottuso che teneva l’immagine rinchiusa e lo spazio ovvio della comunità spettatrice.
Nell’opera di Gianfranco D’Alonzo l’atto di aprire coincide con l’ attraversamento del limes oltre il quale è possibile rivolgere la consapevolezza all’impermanenza, al sorgere e al dissolversi delle cose, alla loro instabilità e imprevedibilità . La consapevolezza infatti è coscienza viva, apertura, un vuoto che conosce, comprende e accoglie.
Il superamento della soglia, dello zerbino-tappeto di preghiera, o l’incontro con la superficie pulsante dello schermo del computer che evoca la drammaturgia dell’apertura di un grande retablo vanno infatti nella direzione di un progressivo abbandono dei nostri attaccamenti, verso uno spazio di silenzio che è una forma di svuotamento profondo, terra di preghiera oltre le frontiere dell’appartenenza e dell’identità .
Nella direzione di un cammino interiore che può riorientare il nostro sguardo, predisporci a entrare in contatto con la vita percepita come mistero e a rimanere presenti nel territorio delle domande senza risposta.
Franco Speroni
Land of prayer: una T.A.Z. (quasi), senza saperlo
E’ vero che Land of prayer (LOP) potrebbe somigliare ad una T.A.Z. La stessa abbreviazione LOP crea una certa familiarità per il suono breve. Anche l’essere nata in rete, nel 2012, in contrasto con l’estetica cyberpop glamour e colorata (come veniva notato da Vincenzo Susca in una presentazione della versione libro di LOP presso l’editore Gangemi [1], https://www.gianfrancodalonzo.net/lop-rete-mostra-libro-presentazione/ ), ci riporta in un ambito di condivisioni differenti rispetto al gusto prevalente dei territori che rimediano online le suggestioni lussureggianti dei mercati e delle vetrine.
Però, rispetto alla T.A.Z., LOP non è un luogo circoscritto ma una zona laterale perchè si disloca necessariamente altrove, si sposta rispetto ad un centro. Rete Mostra Libro è il sottotitolo dell’ultima piattaforma, quella libro, inscenata da LOP per creare una relazione polimorfa tra i territori del web, della mostra e del libro stesso: si è fatto riferimento, non a caso, al dispositivo del trittico rispetto alla funzione dello schermo e della sua origine storica che è stata la pala d’altare. Rispetto a questa, infatti, il trittico oppone resistenza allo sfondamento della visione e quindi dell’immaginazione, rompendo la soluzione di continuità tra spazio del fruitore e spazio del racconto visuale. Ricolloca pertanto il fruitore nella dimensione concreta della consapevolezza che sta facendo qualcosa. E così che ci si sente altro rispetto a ciò che ci rende occupati e quindi alla piattaforma che stiamo abitando.
Non esiste LOP nella sola dimensione della rete come non esiste nella sola dimensione espositiva della mostra d’arte n’è in quella gutenberghiana della stampa. Ciascuna di queste piattaforme è una parte insufficiente ma necessaria di una complessità che se presa tutta insieme non produce una forma armonica, n’è un’opera d’arte totale, ma insiemi diversi coesistenti e non riducibili. Più volte nel libro torna la parola scarto, sia come elemento che non può essere contenuto da un altro, sia come azione che indica lo smarcarsi da una situazione.
Non c’è, quindi, della T.A.Z. la dimensione circoscritta della festa, ma quella della preghiera: annunciata nel titolo e volutamente mantenuta sottotono, la preghiera è la dimensione destabilizzante perchè è la pratica dello scarto.
LOP è una Land of prayer che sfugge dal perimetro che circoscrive e crea il luogo. La sottrazione che LOP mette in moto non è conseguenza della sparizione del fenomeno sensibile (estetico) bensì dello scarto. Questo aspetto permette di considerarla in modo differente dalle forme simboliche nelle quali rientra il perimetro alternativo descritto dalla festa e da altre liturgie (anche religiose) ad essa equivalenti.
L’isola di Andro, nelle Cicladi, era il luogo dove si venerava Dioniso che risorgeva nei baccanali a lui dedicati, ricomparendo sull’isola ciclicamente ogni anno. L’isola stessa, con la sua forma circoscritta, è l’emblema del suo ritorno. Tiziano, nel dipinto gli Andrii (1523-26), in una delle pieghe del Rinascimento più consapevole della differenza tra sviluppo del capitale e malinconia umanistica [2] , ribadisce ed aggiorna l’equivalenza simbolica tra festa dionisiaca e opera d’arte chiusa nel perimetro alternativo della propria cornice. Zona lussureggiante, simultaneamente vitalistica e malinconicamente appartata rispetto ai conflitti della storia. Isola e farandola: la danza a girotondo dipinta che in Tiziano e sarà alla base di opere come La danza (1909) di Matisse e La gioia di vivere (1906) dello stesso, vertici espressivi della pathosformel dell’eterotopia prima ancora che dell’utopia. Ciò che chiamiamo utopia, poichè coscienti dell’impossibilità della sua realizzazione storica, si dà nell’eterotopia come zona altra, temporaneamente autonoma dallo spazio/tempo del quotidiano. Lo scarto è invece un’altra dimensione perchè non indica un luogo ma accenna ad un movimento. La liturgia come la festa ripropone una ciclicità fondata semanticamente sul cerchio alla base del mito del Paradiso, etimologicamente giardino recintato e separato dalla storia, figurativamente isola e, non ultimo, opera d’arte dentro la sua cornice reale o metaforica che sia. L’arte contemporanea è stata in grado di risemantizzare in vari modi questo meccanismo ambiguo, sospeso tra zona liberata per effetto della festa e, a sua volta, metodo per un’azione critica (ancor più che per un pensiero critico) verso il reale, tramite la creazione di figure complesse, figure sfuggenti per parodia o opposizione alle logiche del mondo senza grazia: “figure del dono”[3] .
LOP un po’ spariglia le catene semantiche che ribadiscono l’eterotopia perchè la complessità polimorfa del trittico svela il valore eterotopico tanto della dimensione rete quanto della mostra quanto del libro, se colti nel loro valore autoreferenziale e alternativo dell’uno rispetto all’altro. LOP quindi non disegna un tipo diverso di isola (magari dal contorno più frattalico) ma fa abitare una terra desolata perchè fatta di connessioni tra diverse piattaforme, ciascuna frammento dell’altra.
La preghiera depotenzia il soggetto e lo espone di fronte alla sua condizione naturale che è il mutamento attraverso lo scarto. Alla radice della parola morte c’è il sanscrito mara che nei testi zoroastriani dell’antico Iran indica il consumo portato ad una situazione di non ritorno ciclico, spostamento e mutazione che contengono il senso profondo dello scarto.
Di quale preghiera è dunque propria questa Land ? Priva dei formulari che segnano l’esigenza di costruzioni di senso da condividere comunitariamente, fuori quindi delle religioni (in quanto etimologicamente recinti) questo vuoto/pieno indicato da LOP sembra piuttosto simile a quanto avviene, pur dentro una tradizione così centripeta come quella cattolica, il giovedì santo. E’ il giorno in cui si celebra l’ultima cena.
C’è un tempo preciso che segue alle liturgie di questo giorno e che consiste nello svuotamento del tempio. Il tabernacolo resta vuoto come uno schermo scuro. E’ il tempo del silenzio.
Non a caso, la credenza popolare identifica questo nulla apparente con la morte (che pure, invece, si ricorda il venerdì seguente) chiamando impropriamente sepolcro quell’apparato scenografico che all’interno delle chiese viene a custodire il pane e il vino dell’ultima cena appena consumata. A ben vedere, in questa ambiguità simbolica scatta il potere della tradizione. Il rapporto morte – sepoclro risacralizza in un territorio circoscritto quel morire/movimento che invece è solo processo. Scarto. L’ultima cena, scenario così vitale e performativo, convivialità e consumo irripetibile, dove nulla resta, è il culmine di un processo basato sulla donazione per cui non ci sono avanzi da conservare. Il cibo, pane e vino, ovvero corpo e sangue, sostituisce la persona che da quel momento non è più maschera e personaggio e quindi simbolo e rappresentazione ma pasto e perciò processo vitale per altri movimenti analoghi, sempre fondati sul consumo irreversibile che indica un tempo non più circolare ma eccentrico. Il fenomeno estetico, che solo per poco tempo accade nelle chiese il giovedì santo, prima che il religioso ricomponga il donare in un ordine simbolico, più che il vuoto astratto, teorico, visualizza lo svuotamento. Questo è un’azione seguente alla frammentazione e condivisione. E’ il tempio stesso che si frantuma non perchè viene sostituito da un suo equivalente astratto, il vuoto, ma perchè movimento irreversibile e cioè morire.
L’iconoclastia, come oggi dimostra il furore distruttivo del fondamentalismo terrorista, non è un antidoto al potere delle immagini. Anzi, lo centuplica nella versione dell’ irrapresentabile, attributo anch’esso estetico dell’onnipotenza e dell’onniscienza riferiti ad un Tutto compatto piuttosto che ad un processo relazionale che innesca, invece, processi inediti, aperti. Il culto delle immagini [4] è stato uno dei modi storici di incarnazione e quindi dissipazione progressiva dei simboli nella carne della storia. Certo, a loro volta, le immagini hanno prodotto un Potere di mediazione ma dentro la realtà contemporanea conseguente ai processi di ipermediazione connettiva, il valore solido del potere simbolico si frantuma nelle azioni partecipative che definiscono una nuova politica spettatoriale, come direbbe Claire Bishop [5].
David Joselit, in un suo recente saggio [6] , si riferisce ad una condizione dell’arte contemporanea come configurazioni eterogenee di relazioni e connessioni, aldilà dunque del medium ma anche del postmedium, modello che ho invece utilizzato, riprendendo Rosalind Krauss, per configurare il carattere polimorfo di LOP [7]. E’ una giusta puntualizzazione questa di Joselit anche se bisogna intendersi su cosa connettiamo. E’ difficile pensare concretamente alla connessione senza elementi e quindi senza configurazioni mediali, che tuttavia si dissolvono nell’atto stesso della relazione: metaforicamente devono farsi pasto da consumare. Il punto è dove batte l’accento, se sul modello del medium o postmedium che sia o, di nuovo, sull’azione, sul morire. Qui si gioca la differenza anche politica tra creazione e ricreazione. Tra progetto e festa. Tra tempo eccentrico e irreversibile e tempo ciclico e rinnovabile. Tempo eccezionale (che, come ogni eccezione, implica il ritorno ad una regola) o tempo nuovo.
LOP, dunque, è una Zona Temporaneamente Autonoma molto speciale perchè declina la temporalità non nel tempo circoscritto dell’eccezione ma in quello morente della relazione e della dissipazione produttiva. Ci dovremmo interrogare sul perchè questo accade attraverso un’operazione artistica. Non dimentichiamoci che LOP è comunque questo, cioè una finzione per produrre realtà. Credo che l’elemento determinante sia che l’operazione artistica garantisce quel non sapere che consente la prospettiva di soluzioni aperte. Cioè ricollocare i materiali più vari, anche quando hanno la configurazione di piattaforme, in modo inedito per riposizionare le nostre relazioni sia come azioni concrete che pensieri. C’è un rigore progettuale, un’attenzione al dettaglio, semplicemente perchè il dispositivo funzioni nel modo più libero di produrre significati e cioè di essere consumato, di morire.
Gianfranco D’Alonzo ha creato un’architettura di piattaforme connesse adeguando l’evoluzione di un progetto alle metamorfosi che questo prendeva strada facendo, dissipandosi. Così si mettono in moto relazioni e azioni le cui dinamiche non chiudono un cerchio ma ne rompono la circonferenza.
Se ho fatto dell’alchimia, diceva Marcel Duchamp, l’ho fatto senza saperlo. Senza rendermene conto o, come è stato più sottilmente indicato [8] , senza il sapere che sarebbe a dire intravedevo una sapienza che tuttavia non possedevo essendo questa raggiungibile solo alla fine di un percorso, ammesso che ci si possa arrivare. Distinzione filologica importante ma anche capziosa: c’è un sapere che latita sempre quando il fenomeno si dà come evento. Senza sapere o senza il sapere diventano allora sinonimi per indicare la condizione di colui che espone i dati, avvia un processo e poi l’evento agisce in maniera autonoma e dissipativa per effetto di interferenze.
[1] F. Speroni (a cura), Gianfranco D’Alonzo. LOP. Rete Mostra Libro. Quando l’arte ripensa le piattaforme della comunicazione, Gangemi, Roma 2014.
[2] A. Gentili, Da Tiziano a Tiziano. Mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Feltrinelli, Milano 1980.
[3] G. Pozzi, Figure del dono. Dispendio, reciprocità e impegno nella pratica artistica contemporanea, Pisa University Press, Pisa 2014.
[4] H. Belting (1990), Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’imperiale al tardo Medioevo, Carocci, Roma 2001.
[5] C. Bishop (2012), Inferni artificiali.La politica della spettatorialità nell’arte partecipativa, a cura di C. Guida, Luca Sossella Editore, Roma 2015.
[6] D Joselit (2013), Dopo l’arte, postmedia, Milano 2015.
[7] F. Speroni, Gianfranco D’Alonzo, LOP. Cit. pp. 32-33
[8] M. Calvesi, Duchamp invisibile. La costruzione del simbolo, Officina edizioni, Roma, 1975.
in
Come rovesciare il mondo ad arte.
D-Istruzioni per l’uso
a cura di Giorgio De Finis, Fabio Benincasa e Andrea Facchi
bordeaux editore
https://www.youtube.com/embed/-pNaJYzxCyc
MACAO
Milano 2 maggio 2015
ad esempio, l’errore, due luglio duemilaquindici
in occasione della presentazione di
EXPLOIT. Come rovesciare il mondo ad arte. Di-struzioni per l’uso
MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma
2 luglio 2015
due progetti collettivi presentati in modo corale: gli artisti del MAAM a confronto per discutere sulle possibilità dell’arte di immaginare e realizzare l’Altrove.